SHEPARD FAIREY 3 decades of dissent

L’artista americano Shepard Fairey alias OBEY oggi ha 50 anni.  La sua storia artistica inizia nel 1989 quando realizza Andrè the Giant Has a Posse invadendo i muri della città con degli adesivi che riproducono il volto del lottatore Andrè De Giant. Lo stesso Fairey ha poi spiegato che non vi era nessun significato particolare nella scelta del soggetto, il senso della campagna era quello di produrre un fenomeno mediatico e di far riflettere i cittadini sul proprio rapporto con l’ambiente urbano.

Nel 2009 con la realizzazione del manifesto non ufficiale durante la campagna elettorale di Obama, opera denominata HOPE, OBEY diventerà uno degli street artist più famosi a livello internazionale.

Nella mostra da lui stesso curata presso la Galleria d’Arte Moderna, visitabile fino al 22 novembre, presenta 30 opere grafiche inedite (2019) – con il quale ripercorre molti dei suoi temi di dissenso, tra cui la lotta per la pace e contro la violenza razziale, la difesa della dignità umana e di genere, la salvaguardia dell’ambiente – in dialogo con importanti opere della collezione d’arte contemporanea della Sovrintendenza Capitolina.

La mostra è aperta dall’opera HOPE in cui l’artista ridefinisce il volto di Barack Obama, creando l’immagine iconica che ha fatto il giro del mondo, simbolo del primo politico di origini afroamericane a ricoprire la carica di Presidente U.S.A. Lo stile di OBEY si basa sulla stilizzazione e idealizzazione delle immagini, come dimostrano anche altre opere, oltre al già nominato “André the Giant”, nella sua versione HENDRIX, è presente in mostra JESSE – con il volto del Reverendo Jesse Jackson – della serie “Brown Power”. Così come espresso in POWER AND EQUALITY dedicata ad Angela Davis, fondamentale attivista del movimento afroamericano statunitense e militante del Partito Comunista degli Stati Uniti d’America.

Evidente è il legame con la tradizione grafica dell’arte dissidente e avanguardista dell’Europa del Novecento. Dal Futurismo al Costruttivismo russo, come nell’opera in mostra GUNS AND ROSES, definita dal gioco linguistico e visivo fra rock e i simboli pacifisti degli anni 70 con le rose nei fucili. Il tema del pacifismo dominante nell’opera di Shepard Fairey è esemplificativo in GREETINGS FROM IRAQ, opera strutturata come una cartolina dove però le “bellezze” dell’Iraq diventano i bombardamenti aerei americani.

Una mostra da vedere e su cui riflettere.

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Nunzia Castravelli

ASPETTANDO GODOT AL TEATRO VASCELLO

Se avessi saputo chi è Godot l’avrei scritto nel copione”

Rispose così Beckett a chi gli chiese chi fosse Godot. Protagonista mai visto di uno dei testi più rappresentativi del teatro dell’assurdo. Una tragicommedia costruita intorno alla condizione dell’attesa che ha spinto i critici di tutto il mondo a non fermarsi a questa sola interpretazione ma a cercare in Godot un simbolismo che addirittura ha scomodato Dio. Altre interpretazioni lo vedono come personificazione del destino, della morte o della fortuna.

Ma facciamo un passo indietro, alla trama: nel primo atto due uomini probabilmente vagabondi, Estragone e Vladimiro, sono in attesa di un certo Godot che ha dato loro un appuntamento. Il luogo e l’orario dell’appuntamento sono vaghi. Mentre attendono passa sulla stessa strada Pozzo, un proprietario terriero, e il suo servitore, Lucky, tenuto al guinzaglio dal primo.

Pozzo si ferma a parlare con Vladimiro ed Estragone finchè Lucky inizia un delirante monologo erudito culminante in una rovinosa zuffa tra i personaggi. Nel frattempo Godot ancora non si è fatto vivo. Arriva però un giovane messaggero di Godot, il quale annuncia che il signor Godot si scusa, ma che non può venire. Arriverà però sicuramente il giorno dopo. Il primo atto finisce con la considerazione di Vladimiro ed Estregone di suicidarsi, ma alla fine rinunciano. Poi pensano di andarsene, ma restano. Nel secondo atto accadono esattamente le stesse cose del primo atto: l’attesa dei due, il passaggio di Pozzo e Lucky, l’arrivo del messaggero che informa Vladimiro ed Estragone che Godot non sarebbe arrivato. I due rifanno quindi le stesse considerazioni sulla morte e sull’idea di mollare tutto. Come scrisse Vivian Mercier in un articolo apparso sull’Irish Times nel 1956 “Aspettando Godot è una commedia in cui non accade nulla, per due volte

In realtà, la grandiosità di Godot sta proprio nella sua astrattezza, o meglio nella sua totale apertura alle interpretazioni e lo spettacolo in scena al Teatro Vascello per la regia di Theodoros Terzopoulos ha ben reso questa apertura avvalendosi di straordinari attori come Enzo Vetrano, Stefano Randisi, Paolo Musio, i promettenti giovani Giulio Germano Cervi, Rocco Ancarola.

Grazie a loro, l’attesa dei personaggi che interpretano diventa attesa dello spettatore stesso, che impaziente soffre con loro, si interroga con loro, diventando parte di quel paesaggio dai contorni del nulla, di quella zona grigia del palco dove i valori umani vengono annientati. In un luogo non luogo, in un tempo non tempo, dove Godot non si rivela mai, così come il significato di ciò che si vuole dire non è mai chiaro, seppur esplicitato con le parole. Parole apparentemente prive di senso, come l’attesa di qualcuno che non arriverà.

Da vedere.

Nunzia Castravelli

Il genio artistico di VAN GOGH a Roma

Vincent Van Gogh è stato uno dgli artisti più prolifici del mondo dell’arte. Autore di quasi novecento dipinti e di più di mille disegni, senza contare i numerosi schizzi non portati a termine e i tanti appunti destinati probabilmente all’imitazione di disegni di provenienza giapponese. Geniale quanto incompreso raggiunse la fama solo dopo la morte, grazie alla cognata Johanna Bonger che alla scomparsa del marito e fratello di Vincent ereditò circa 200 quadri. Iniziò quindi una vera promozione dell’artista nelle gallerie e riuscì persino a pubblicare le lettere che Vincent scriveva al fratello.

La mostra a Palazzo Bonaparte a Roma, prodotta da Arthemisia, raccoglie attraverso ben 50 opere provenienti dal prestigioso Museo Kröller Müller di Otterlo – che custodisce uno dei più grandi patrimoni delle opere di Van Gogh – e tante testimonianze biografiche, la vicenda umana e artistica del pittore olandese per celebrarne la grandezza universale, non tralasciando il lato umano ben raccontato nei video all’interno della mostra.
Attraverso un interessante percorso cronologico si ripercorre quindi la vita di Van Gogh: dal periodo olandese con gli scuri paesaggi, al soggiorno parigino, a quello ad Arles, fino a St. Remy e Auvers-Sur-Oise, dove Vincent mise fine alla sua tormentata vita.
La sua arte diviene testimonianza ed espressione della grandezza e dell’intenso rapporto con la verità del mondo circostante.
Particolare enfasi è data al periodo del soggiorno parigino in cui l’artista olandese si dedica a un’accurata ricerca del colore sulla scia impressionista e a una nuova libertà nella scelta dei soggetti, con la conquista di un linguaggio più immediato e cromaticamente vibrante.
In mostra è presente anche l’Autoritratto a fondo azzurro con tocchi verdi del 1887, Vincent rivolto allo spettatore mostra un’insolita fierezza, non sempre evidente nelle complesse corde della sua arte.
Tra le altre opere in esposizione ricordiamo ancora Il Seminatore realizzato ad Arles nel giugno 1888, con il quale Van Gogh avverte che si può giungere a una tale sfera espressiva solo attraverso un uso metafisico del colore; Il giardino dell’ospedale a Saint-Rémy (1889) ed Vecchio disperato (1890).

Da vedere.

Nunzia Castravelli

LO SCHIACCIANOCI, AL TEATRO OLIMPICO DI ROMA

Fino all’11 dicembre al Teatro Olimpico di Roma è in scena “Lo Schiaccianoci“, prodotto da Fabrizio di Fiore Entertainment.

Diretto e coreografato da Luciano Cannito, fedele alla versione originale di Petipa del tradizionale balletto classico con musica di Tchaikovsky, lo spettacolo vede questa volta in un ruolo più determinante il misterioso Drosselmeyer, interpretato da Manuel Paruccini, già primo ballerino del Teatro dell’Opera di Roma. Per questa nuova edizione oltre al corpo di ballo e ai danzatori solisti di Roma City Ballet Company, vi sono due coppie di primi ballerini ospiti nei ruoli del Principe Schiaccianoci e della Fata Confetto: Kanako Fujimoto e Denis Veginy primi ballerini del Teatro dell’Opera di Dresda, e Yolanda Correa e Dinu Tamazlacaru primi ballerini del Teatro dell’Opera di Berlino.

Lo Schiaccianoci è una storia magica, rappresentato per la prima volta nel 1892 al Teatro Marijnskij di San Pietroburgo e basato sulla favola Nussknacker und Mausekönig di Ernst Theodor Amadeus Hoffmann, racconta il sogno incubo della piccola Clara iniziato alla fine della festa organizzata dai genitori nella notte di Natale. Al termine della festa conclusa dalla tradizionale Grossvater (la danza del nonno) i bambini vanno a letto ma Clara tra il sonno e la veglia cerca lo schiaccianoci regalato da Drosselmayer, padrino dei bambini. Allo scoccare della mezzanotte appaiono dei topolini minacciosi che vengono affrontati da soldatini usciti magicamente dalle loro scatole. Anche Lo Schiaccianoci, grazie a Drosselmayer, prende vita e affronta in duello il Re dei topi che riesce a sconfiggere anche con l’aiuto di Clara. Lo Schiaccianoci, trasformatosi in un bel Principe, si inginocchia davanti a Clara e la invita tra i rami del magico albero di Natale. Qui inizia un notte di danze e passi a due magici.

Sebbene inizialmente la critica non sia stata benevola con quest’opera, classificata come sorella minore de La Bella Addormentata e del Lago dei Cigni, oggi Lo Schiaccianoci è ai vertici della produzione ballettistica russa proprio per la molteplice modernità dei temi evocati.

La versione di Luciano Cannito in scena al Teatro Olimpico dà molta enfasi al sogno onirico, pur essendo fedele a Petipa, risulta comunque più leggera e alla portata di un pubblico più generalista.

Nunzia Castravelli

CROWD di Gisèle Vienne al TEATRO ARGENTINA

Al Teatro Argentina di Roma il 18 e 19 ottobre è andato in scena Crowd, bellissimo spettacolo ideato e coreografato da Gisèle Vienne.

Il palcoscenico si è tramutato in un dancefloor di un rave party in un luogo non luogo, dove i protagonisti si muovono in un rallenty senza fine. In una danza lenta fatta di movimenti dettagliati, le emozioni sono delimitate dai gesti dei giovani partecipanti al party, in un tempo che si dilata inevitabilmente.

lo stage diventa un luogo della mente dove tutto può accadere, lo show è una serie di immagini che scorrono davanti allo sguardo muto dello spettatore. Ci si chiede cosa accadrà dopo l’ennesimo passo a questa folla di giovani dove le narrazioni e i movimenti si compongono e si disfano, mescolandosi con l’alterazione temporale che confonde ogni certezza della visione.
Sebbene sia priva di testo, Crowd lascia ai gesti, al corpo il compito di dire e rappresentare singole storie che una dopo l’altra si fanno folla, Crowd appunto. Luce, suono, musiche fanno il resto dando vita ad un’opera inedita.

La platea che assiste allo show è lì insieme ai 17 interpreti riuniti sul palco, pronta ad essere ipnotizzata gesto dopo gesto e catapultata in un trip ai confini con l’allucinazione.

Alla fine ci si chiede, è successo davvero?

Ideazione, coreografia e scenografia Gisèle Vienne
con l’aiuto di Anja Röttgerkamp e Nuria Guiu Sagarra
luci Patrick Riou
drammaturgia Gisèle Vienne e Denis Cooper
selezioni musicali a cura di Underground Resistance, KTL, Vapour Space
DJ Rolando, Drexciya, The Martian, Choice, Jeff Mills, Peter Rehberg
Manuel Göttsching, Sun Electric e Global Communication
selezione della playlist a cura di Peter Rehberg
responsabile del sound diffusion Stephen O’Malley
performer Lucas Bassereau, Philip Berlin, Marine Chesnais, Sylvain Decloitre, Sophie Demeyer, Vincent Dupuy, Rehin Hollant, Georges Labbat, Theo Livesey, Maya Masse, Katia Petrowick, Linn Ragnarsson, Jonathan Schatz, Henrietta Wallberg in alternanza con Morgane Bonis e Tyra Wigg

Nunzia Castravelli

La Tragedia di Macbeth al Teatro Globe di Roma

Macbeth è la tragedia di Shakespeare in cui un uomo assetato di potere è scisso tra l’ambizione più cieca di impossessarsi del trono e il senso di colpa più nero per aver tradito un Re generoso, amici leali e compagni di battaglia valorosi.

Tutto ha inizio con l’apparazione delle tre sorelle fatali: attraverso una profezia instillano nella mente di Macbeth l’idea di diventare Re. Si tratta di un seme oscuro che inizia a germogliare in un animo sempre più abbietto, incancrenendosi giorno dopo giorno renderà Macbeth sempre più malvagio e senza pietà. La consorte, Lady Macbeth accellera questo processo di putrefazione dell’animo del futuro sovrano ammaliando e persuadendo il marito nel commettere l’omicidio del Re. In un’atmosfera gotica, oscura, resa ancor più nera da un scenografia e costumi che richiamano i film di David Lynch si consuma la tragedia di Macbeth che dopo il regicidio diventa un tiranno spietato. Tra scene di combattimento per il potere tra élite, infanticidi e lotte per l’assegnazione delle cariche pubbliche il regista Daniele di Salvo mette magistralmente in scena il tormento di un animo umano che ormai non può più ripulire le mani insanguinate dagli omicidi commessi ed il dolore di chi è stato vittima del piano di ascesa al potere dei Macbeth.

Il palco del Globe Theatre di Roma diviene luogo in cui si materializzano i peggiori incubi, visioni sanguinose, dove anche Lady Macbeth, incapace di placare l’instabilità del marito, impazzisce a sua volta e soccombe sotto il peso delle sue stesse colpe. Un gotico castello mentale avvolto nella nebbia dal quale non è più possibile uscire sani di mente.

Ormai la Scozia guidata da Macbeth è una terra bagnata dal sangue di tutti coloro sospettati di ordire complotti contro la corona. Ma gli stessi protagonisti periranno sotto il peso delle loro nefandezze, chiedendosi quale sia stato il senso di tutto quel dolore.

Citando le parole del regista:

Macbeth senza Dio.

Macbeth senza gioia.

Macbeth senza prole.

Macbeth senza più un’anima.

Il lato oscuro che nessuno di noi osa confessare.

Macbeth che è in ognuno di noi.

Macbeth: i contagiati dalla morte.

L’opera, assolutamente da vedere, è in scena fino al 25 settembre nel meraviglioso Teatro Globe a Villa Borghese. Tutte le info qui

Nunzia Castravelli

L’OCCHIO DI GIANNI BERENGO GARDIN

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Il viaggio fotografico di Berengo Gardin in mostra al MAxxi, fino al 22 settembre, attraversa l’Italia in ben 200 foto. Inizia a Venezia, città natia del padre e del nonno, dove nei circoli fotografici come “La Gondola” Berengo ha mosso, ormai più di 70 anni fa, i primi passi. Venezia è un luogo di continuo ritorno, ritratta nei primi poetici scatti degli anni 50, nella contestazione alla Biennale del 1968 fino al celebre progetto dedicato alle Grandi Navi del 2013.

L’esposizione prosegue raccontando la Milano dell’industria, delle lotte operaie, degli intellettuali, i paesaggi delle risaie, attraversa l’Italia fino in Sicilia. Ancora, ritratti, scatti inediti dell’epoca che mostrano per la prima volta le condizioni all’interno degli ospedali psichiatrici in tutta Italia, foto che documentano la cultura Rom nei momenti di feste e cerimonie; i tanti piccoli borghi rurali e le grandi città; i luoghi della vita quotidiana; L’Aquila colpita dal terremoto; i cantieri (tra cui anche quello del MAXXI, fotografato nel 2007); i molti incontri dell’autore con figure chiave della cultura contemporanea: Dino Buzzati, Peggy Guggenheim, Luigi Nono, Mario Soldati.

La fotografia di Gardin è una fotografia “vera” che racconta persone, luoghi, paesaggi, testimone anche di lotte sociali e civili. Attraverso il suo obiettivo in 70 anni di carriera Gardin riesce a regalarci uno scorcio del paese reale, uno sguardo su un’Italia che non esiste più ma è sempre presente nella memoria della sua testimonianza fotografica. La sua fotografia non è mai manipolata, perchè come egli ci dice, è questa la differenza tra il fotografo e chi fa le foto. Il primo pensa, imposta la macchina e solo dopo scatta. Ha il controllo sulla macchina e non viceversa.

In un mondo ormai digitalizzato, dove la macchina si imposta automanticamente confessa: “Non sono credente, ma credo fermamente del dio pellicola“.

Nunzia C.

LONDON CALLING – British Contemporary Art Now

Riguardo all’arte, bisogna riconoscere alle Fondazioni presiedute dal Prof. Avv. Emmanuele F. M. Emanuele il merito di aver portato ed ospitato a Roma artisti ed opere mai viste in Italia. Pensiamo alle mostre dedicate ad Hiroshige, Niki de Saint Phalle, Nevelson, Hopper, Norman Rockwell, Georgia O’Keeffe. La necessità è comunicare che c’è sempre un nuovo artista da scoprire e che (opinione personale) le mostre sugli impressionisti hanno già dato. Aprirsi al nuovo, ad un’artista mai sentito prima, ad una corrente artistica mai esplorata, significa darsi la possibilità di accrescere se stessi ed il proprio mondo interiore fatto di esperienze di vita che necessitano anche dell’arte per espandersi. Il pubblico italiano ha una grande possibilità: conoscere qualcosa di non ancora visto e se Londra chiama, Roma non può non rispondere.

La Fondazione Terzo Pilastro con Poema ed il supporto organizzativo di Comediarting e Arthemisia, ci regala questa volta una bellissima mostra sull’arte contemporanea Britannica. Ben 50 anni di arte londinese, per la prima volta in Italia, in esposizione a Palazzo Cipolla fino al 17 luglio.

Il percorso espositivo si apre con Magenta Apple Mix 2 di Anish Kapoor. L’opera di due grandi dischi rossi ha l’intento di evocare le connotazioni più cupe della natura mortale dell’uomo. La scelta del colore rosso non è casuale, richiamo alla passione, al sangue e alla vita. Seguono le opere degli altri artisti britannici di fama internazionale da David Hockney a Jake e Dinos Chapman a Damien Hirst e Idris Khan che uno alla volta raccontano l’arte britannica tra il 1937 e il 1978.

Tutti gli artisti esposti hanno messo le loro radici creative in una Londra di inizio anni Sessanta, in piena trasformazione economica e sociale e che si preparava a diventare una delle capitali indiscusse dell’arte contemporanea. A quei tempi la scena artistica londinese diede vita ad una vera e propria rivoluzione, attraverso movimenti come quello della New British Sculpture e degli Young British Artists (YBA). Ed è proprio Londra il massimo comune denominatore delle opere esposte che, pur essendo frutto di artisti di generazioni diverse, hanno in comune di essere tutte “figlie” di Londoners.

Le opere sono state selezionate dai curatori Maya Binkin e Javier Molins in collaborazione con gli artisti stessi. Ideata dalle collezioni/studi personali degli artisti, la mostra è supportata da gallerie e collezioni internazionali come Gagosian Gallery, Goodman Gallery, Galerie Lelong, Lisson Gallery, Modern Forms, Victoria Miró Gallery, Galerie Thaddaeus Ropac, Sean Kelly Gallery, New York, Tim Taylor Gallery, London, Tucci Russo Studio per l’Arte Contemporanea.

Keep Calm & Love Art not War

Nunzia Castravelli

IL RITORNO DI CARROZZERIA ORFEO

Finalmente a Roma ritorna Carrozzeria Orfeo con Miracoli Metropolitani, new born dopo Thanks for Vaselina, Animali da Bar e Cous Cous Klan

La vicenda che fa da sfondo allo spettacolo, scritto da Gabriele Di Luca e diretto dallo stesso Di Luca, Massimiliano Setti, Alessandro Tedeschi, è accaduta davvero. Nel settembre 2017 le fogne di Whitechapel a Londra sono esplose a causa di un intasamento di 130 tonnellate di grasso mischiato a vari oggetti non biodegradabili: dai preservativi agli assorbenti. 

Su questo background maleodorante, in una vecchia autorimessa adattata a cucina si muovono sette personaggi, tutti estremamente nevrotici: una donna manager ossessionata dal riscatto sociale e dai social ed il suo compagno ex chef stellato costretto a cucinare cibi take away; il loro figlio con disturbi mentali, una donna africana senza permesso di soggiorno, un carcerato in semilibertà aspirante attore obbligato a fare lavori socialmente utili; una ex brigatista (madre del cuoco) con ancora la passione per gli attentati ed un aspirante suicida.

Continua la riflessione, questa volta un pò più politica di Di Luca, sulla società contemporanea. Viene ricreato, come lui stesso scrive, un mondo stupido dove si ride tanto, ma dove non si sta ridendo affatto. Dove tutti i personaggi sono accomunati dall’essere dei perdenti alla ricerca delle proprie verità nel tentativo di soddisfare i propri desideri più profondi.

Miracoli Metropolitani racconta di una società che sta per essere sepolta dai suoi stessi escrementi, metafora dell’angoscia esistenziale, di pensieri e azioni malate, di un capitalismo culturale orribile, di un’umanità razzista e depressa incapace di comunicare se non attraverso il turpiloquio o che finge e si vende sui social. Una società che è letteralmente nella merda, angosciata.

Alla fine, si esce dal Teatro dopo aver riso molto, ma anche riflettuto, divertiti ma un pò angosciati, un’esperienza di momenti comici alternati a momenti estremamente drammatici.

Insomma la bipolarità è garantita, grazie anche ai fantastici attori.

NunziaChan

Margaret Bourke-White: prima, donna.

Pioniera dell’informazione e dell’immagine, Margaret Bourke-White ha esplorato ogni aspetto della fotografia: dalle prime immagini dedicate al mondo dell’industria, ai progetti corporate, fino ai grandi reportage per le testate più importanti come Fortune e Life; dalle cronache del secondo conflitto mondiale, ai celebri ritratti di Stalin e di Gandhi, dal Sud Africa dell’apartheid, all’America dei conflitti razziali fino al brivido delle visioni aeree del continente americano.

Margaret Bourke-White fu la prima fotografa straniera ad avere il permesso di scattare foto in URSS, la prima donna fotografa per il settimanale Life e la prima fotografa americana al fronte.

Con una selezione inedita di oltre cento fotografie, Prima, donna in mostra al Museo di Roma in Trastevere ne celebra la soprendente carriera fatta di molti primati e di tanto coraggio. Le foto, provenienti dall’archivio Life di New York, sono divise in 11 gruppi tematici. Da L’incanto delle acciaierie a LIFE, dedicata alla lunga collaborazione con la leggendaria rivista americana; a Nei Campi, dove vi è testimoniato l’orrore al momento della liberazione del Campo di concentramento di Buchenwald (1945) alle immagini aeree della sezione In alto e a casa.

Attraverso questa bellissima mostra si entra nella storia di Margaret Bourke-White, perchè è proprio attraverso i sui scatti che riesce a raccontare indirettamente la sua vita coraggiosa: una storia di emancipazione femminile in un’epoca in cui le donne facevano fatica ad affermarsi, in qualsiasi settore e soprattutto nella fotografia.

La sua è anche una storia di tenacia e forte volontà che non l’ha mai abbandonata, neanche quando nel ’53 le venne diagnosticato la malattia di Parkinson. Questa parte della sua vita è documentata ne La mia misteriosa malattia, sezione che chiude la mostra.

Un viaggio da fare.

Nunzia Castravelli

Cultartdict.com

Venere e Adone al Globe Theatre

Venere e Adone è uno dei poemi più lunghi di William Shakespeare: 1194 versi e dedicato a Henry Wriothesly, terzo conte di Southampton. Diversi registri dal comico all’erotico si intrecciano, raccontando una Venere follemente innamorata, passionale, pazza di desiderio per Adone, sfuggente e di grande bellezza che preferisce dedicarsi alla caccia piuttosto che all’amore, sia pur divino.

Come ricorda il regista Daniele Salvo, tra i registi più affermati del teatro italiano, allievo e collaboratore del maestro e regista Luca Ronconi, l’opera è stata composto a Londra nel 1593 nei cupi giorni in cui la peste stava devastando la città, traendo spunto dal decimo libro delle Metamorfosi di Ovidio. Ogni emozione, senza alcun filtro, dalla rabbia alla disperazione catalizza i protagonisti avvolgendoli in un vortice di sensualità e disperazione fino alla morte di Adone.

Le musiche sono state affidate Patrizio Maria D’Artista, oggi direttore artistico della stagione teatrale di prosa del Teatro Maria Caniglia di Sulmona, per il delicato compito di composizione della colonna sonora della sua produzione.

Ricordiamo inoltre i bravissimi attori: Melania Giglio, Riccardo Parravicini e Gianluigi Fogacci. Scene di Fabiana Di Marco, costumi di Daniele Gelsi, direzione tecnica di Stefano Cianfichi, disegno luci di Umile Vainieri, assistente alla regia Alessandro Guerra.

La stagione del Globe theatre di Roma si chiuderà il 10 ottobre, vi sono ancora due spettacoli in calendario da vedere assolutamente.

https://www.globetheatreroma.com/

Nunzia