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Margaret Bourke-White: prima, donna.

Pioniera dell’informazione e dell’immagine, Margaret Bourke-White ha esplorato ogni aspetto della fotografia: dalle prime immagini dedicate al mondo dell’industria, ai progetti corporate, fino ai grandi reportage per le testate più importanti come Fortune e Life; dalle cronache del secondo conflitto mondiale, ai celebri ritratti di Stalin e di Gandhi, dal Sud Africa dell’apartheid, all’America dei conflitti razziali fino al brivido delle visioni aeree del continente americano.

Margaret Bourke-White fu la prima fotografa straniera ad avere il permesso di scattare foto in URSS, la prima donna fotografa per il settimanale Life e la prima fotografa americana al fronte.

Con una selezione inedita di oltre cento fotografie, Prima, donna in mostra al Museo di Roma in Trastevere ne celebra la soprendente carriera fatta di molti primati e di tanto coraggio. Le foto, provenienti dall’archivio Life di New York, sono divise in 11 gruppi tematici. Da L’incanto delle acciaierie a LIFE, dedicata alla lunga collaborazione con la leggendaria rivista americana; a Nei Campi, dove vi è testimoniato l’orrore al momento della liberazione del Campo di concentramento di Buchenwald (1945) alle immagini aeree della sezione In alto e a casa.

Attraverso questa bellissima mostra si entra nella storia di Margaret Bourke-White, perchè è proprio attraverso i sui scatti che riesce a raccontare indirettamente la sua vita coraggiosa: una storia di emancipazione femminile in un’epoca in cui le donne facevano fatica ad affermarsi, in qualsiasi settore e soprattutto nella fotografia.

La sua è anche una storia di tenacia e forte volontà che non l’ha mai abbandonata, neanche quando nel ’53 le venne diagnosticato la malattia di Parkinson. Questa parte della sua vita è documentata ne La mia misteriosa malattia, sezione che chiude la mostra.

Un viaggio da fare.

Nunzia Castravelli

Cultartdict.com

Ara Guler, l’occhio di Istanbul a Roma

“Non faccio fotografie in condizioni di luce normale. O all’alba, al tramonto o al mattino presto. Inoltre voglio spiegare qualcosa in ogni frame. Ogni immagine deve avere un messaggio.” 

Il maestro Ara Güler ha definito le sue foto un pò romantiche proprio come lui.  Un uomo dalla profonda sensibilità artistica diventato uno dei maggiori fotografi turchi riconosciuto a livello internazionale.    Nominato tra i sette fotografi migliori al mondo dal British Journal of Photography Yearbook e insignito del prestigioso titolo di “Master of Leica”, nel corso della sua carriera è riuscito a raccontare Istanbul diventandone  “l’occhio”.  Era chiamato “The Eye of Istanbul”.   Il suo lavoro fotografico in bianco e nero è fortemente malinconico e rivela il profondo legame con la città in cui è cresciuto. Come lui stesso asserì, l’intento era raccontarla rendendo testimonianza “alla città che sta scomparendo, che sta per perire”. Perché Ara Güler sapeva che quella Istanbul non ci sarebbe più stata e bisognava farla vedere.

Fotografo della vita, in ogni suo scatto c’è sempre una persona, un essere vivente, un segno di vita che abbraccia l’immortalità grazie alla sua macchina fotografica.  Egli credeva che la fotografia dovesse fornire un ricordo delle persone, delle loro vite e soprattutto delle loro sofferenze. Se l’arte mente, la fotografia riflette solo la realtà. Per questo motivo divenne un  fotoreporter,  non attribuiva molto valore alla fotografia come ricerca artistica. La fotografia era per lui racconto, non arte.

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Il porto con i suoi pescatori, i ponti, gli operai e la povera gente dei vicoli e dei mercati sono i protagonisti della sua visione neorealista esposta al Museo di Roma in Trastevere  in una sezione di 45 immagini che viaggia parallelamente con una sezione riservata a 37 ritratti di personalità celebri della politica, del cinema e dell’arte dagli anni ’50 agli anni ’70. Un Winston Churchill con l’immancabile sigaro, Pablo Picasso e Chagall,  e poi tante stelle del cinema mondiale e italiano: da Sophia Loren a Gina Lollobrigida, Silvana Mangano, Antonella Lualdi, Federico Fellini, Bernardo Bertolucci.

Prima di arrivare a Roma l’esposizione ha fatto tappa alla Galleria Saatchi a Londra, alla Galleria Polka a Parigi, al Tempio di Tofukuji a Kyoto, nell’ambito del vertice del G-20, e alla Alexander Hamilton Custom House a New York in concomitanza con l’Assemblea Generale dell’ONU, prima di continuare il suo percorso a Mogadiscio.

http://www.museodiromaintrastevere.it/it/mostra-evento/ara-g-ler

 

Nunzia Castravelli

 

 

 

VIAGGIO NEL CINEMA ITALIANO

La storia del cinema italiano è costellata di grandissimi successi dove pellicole, registi e attori sono entrati nell’olimpo mondiale della cosidetta settima arte. Pensiamo ad esempio al periodo del suo massimo splendore sorto dalle ceneri della Seconda Guerra Mondiale con il Neorealismo.  Anni in  cui si affermano registi del calibro di Rossellini, De Sica, Visconti e De Santis, molti dei quali premiati con l’Oscar: Roma città aperta, Paisà, Ladri di biciclette, Sciuscià, Ossessione e Riso amaro. Oppure al cinema d’autore del grande Federico Fellini. Autore di film come La strada, Amarcord, La dolce vita o I Clowns e vincitore di ben 4 premi Oscar.

Grazie al MIAC, Museo Italiano Audiovisivo e Cinematografico di Cinecittà è possibile rivivere tutto  questo splendore attraverso un percorso super immersivo suddiviso in 12 ambienti. 1650 m2 di successi raccontati attraverso istallazioni, video, e materiale audio. Il viaggio inizia in un foyer, dove le insegne luminose delle sale cinematografiche storiche ci introducono al secondo ambiente separato da un sipario color argento che rappresenta lo schermo.

La prima sezione è L’emozione dell’Immaginario: Frammenti di vetri della macchina da presa e proiezioni di volti di spettatori a testimonianza che i film sono lo specchio attraverso cui scoprire le proprie emozioni.

Attraversata la sala si arriva ad un corridoio di circa 30 metri. Una parete interattiva che ben racconta la storia del nostro cinema, una timeline che porta a sei sale i cui allestimenti ed istallazioni digitali e luminose create dal collettivo NONE sono arte che racconta l’arte: attori e attrici, storia, lingua, potere, musica, paesaggio e maestri.

Per finire poi in un calendoscopio: una scatola di specchi che amplifica le nostre riflessioni e la  magia del magnifico percorso appena intrapreso.

http://www.museomiac.it

 

 

Nunzia Castravelli

 

 

 

PAOLO DI PAOLO, MONDO PERDUTO

Il mondo perduto di Paolo Di Paolo racconta attraverso 250 meravigliose immagini esposte al Maxxi, l’Italia del dopoguerra: personaggi del cinema, artisti, scrittori ma anche gente comune e bambini ritratti nella propria quotidianità. Fotografo di grande talento ed intuizione, Paolo Di Paolo ha saputo raccontare con delicatezza e obiettività il nostro paese che in quegli anni rinasceva dalle ceneri della Seconda Guerra Mondiale.

Nato nel 1925 a Larino, in Molise Paolo Di Paolo si trasferì a Roma per conseguire la maturità classica e dopo la guerra si iscrisse alla facoltà di Storia e filosofia dell’Università La Sapienza. Frequentò gli ambienti artistici romani e scelse la fotografia come mezzo di espressione artistica, inizando a collaborare nel 1954 con il settimanale Il Mondo, fondato e diretto da Mario Pannunzio. Diventò uno dei principali collaboratori, con il maggior numero di foto pubblicate, 573 immagini.

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Dopo circa 50 anni di oblio, negli anni duemila, per puro caso la figlia Silvia ritrova in cantina un ricchissimo archivio fotografico..tra cui le foto esposte al Maxxi:  Pier Paolo Pasolini al Monte dei Cocci a Roma, Tennesse Williams in spiaggia con il cane, Anna Magnani con il figlio sulla spiaggia del Circeo, Kim Novak che stira in camera al Grand Hotel, Sofia Loren che scherza con Marcello Mastroianni negli studi di Cinecittà. E poi una famiglia per la prima volta di fronte al mare di Rimini e i volti affranti del popolo ai funerali di Palmiro Togliatti.

Insomma, un bellissimo itinerario fotografico tutto da percorrere.

Buon viaggio.

https://www.maxxi.art/di-paolo-paolo/

 

Nunzia Castravelli

 

 

L’ALTRO SGUARDO. FOTOGRAFE ITALIANE 1965-2018

La  Collezione Donata Pizzi racconta la fotografia italiana fatta dalle donne a partire dalla metà degli anni Sessanta a oggi. Settanta autrici diversissime per generazione ed espressività artistica che raccontano il loro tempo: dai lavori pionieristici di Paola Agosti, Letizia Battaglia, Lisetta Carmi, Elisabetta Catalano, Carla Cerati, Paola Mattioli, Marialba Russo, sino alle ultime sperimentazioni condotte tra gli anni Novanta e il 2018 da Marina Ballo Charmet, Silvia Camporesi, Monica Carocci, Gea Casolaro, Paola Di Bello, Luisa Lambri, Raffaella Mariniello, Marzia Migliora, Moira Ricci, Alessandra Spranzi e numerose altre.

Le quattro sezioni della mostra sono dedicate, rispettivamente, alla fotografia di reportage e di denuncia sociale (Dentro le storie); ai rapporti tra immagine fotografica e pensiero femminista (Cosa ne pensi tu del femminismo?); ai temi legati all’identità e alla rappresentazione delle relazioni affettive (Identità e relazione); e, infine, alle ricerche contemporanee basate sull’esplorazione delle potenzialità espressive del mezzo (Vedere oltre).

Testimonianza dei momenti significativi della storia della fotografia italiana dell’ultimo cinquantennio: da esse affiorano i mutamenti concettuali, estetici e tecnologici che la hanno caratterizzata quando a partire dagli anni 70 le donne finalmente accedono al sistema dell’arte e del foto giornalismo. A partire da quel periodo i cambiamenti socio-politici ed il movimento femminista fanno da apripista in un ambito esclusivamente maschile. Da allora sempre più donne hanno acquisito posizioni di primo piano nella scena artistica italiana e internazionale.

Ovviamente, c’è ancora tanto da fare: la disparità di genere è ancora oggi un problema esistente e la storia di molte fotografe è ancora da riscoprire e valorizzare. Ed è proprio da questa consapevolezza che nasce la collezione di Donata Pizzi fino al 2 settembre a Palazzo delle Esposizioni a Roma.

 

Nunzia Castravelli