L’opera fotografica di Vivien Maier si sviluppa in un percorso artistico intimo e segreto. Fu scoperta solo dopo la sua morte, quando un certo John Maloof per puro caso nel 2007 scoprì dei negativi e rullini ancora da sviluppare. Da allora Maloof ne ricostruì la biografia e l’opera fotografica.
Vivien era una tata e una non fotografa per professione che amava la fotografia e che può essere considerata antesignana della street photos. Nata a New York nel 1926, trascorse lungo tempo della sua vita in Francia, a Saint-Julien en Champsaur, sua madre Maria Jaussaud era francese. Nel 1951 ritornò a New York dove, con la vendita di una casa di famiglia, acquistò una macchina fotografica Rolleiflex. Da quel momento in poi, Vivien iniziò a raccontare la vita, le luci e le ombre delle strade di New York e Boston.
Le opere in mostra al Museo in Trastevere fino al 18 giugno raccontano il suo l’occhio attento per i dettagli capace di cogliere attimi decisivi, che si ripetono e rivivono ogni volta che si guarda e riguarda una sua foto. La quotidianità è ritratta con sensibilità temeraria e a volte un pò invadente: volti di anziani che scrutano l’obiettivo, occhi generosi di vita di bambini e mani di innamorati seguono a ombre riflesse nelle pozzanghere e prospettive ripide dai grattacieli di New York. Iconici i “selfie” di sè stessa riflessa nelle vetrine.
Insomma, un’intensa esposizione delle sue opere fotografiche, curata da Anne Morin e Alessandra Mauro, in un’organica selezione di 120 opere in chiaroscuro degli anni cinquanta e sessanta, arricchita da una sezione degli anni settanta con foto a colori.
Da vedere.